Complici le sanzioni comminate dall'Unione Europea
alla Russia in seguito alle note turbolenze con l'Ucraina, è Mosca il
partner commerciale che sta preoccupando maggiormente gli imprenditori
italiani, quasi rassegnati a iniziare il 2015 in un contesto fin troppo simile
a quello che ha caratterizzato l'intero 2014. Proprio per tale motivo le associazioni
imprenditoriali tricolori stanno muovendo i loro passi per cercare di alleviare
le sofferenze commerciali già avvertite nello scorso anno. Il grave rischio è
infatti che il Paese cada in recessione: un rischio che corrisponderebbe a
ulteriori problemi per le imprese italiane che operano nel comparto del lusso
(e non solo), inducendo i russi a comprare sempre di più all'interno dei propri
confini nazionali, e sempre di meno all'esterno.
Ma, considerando che la Russia è un mercato sempre
più delicato, dove dirigere i propri obiettivi commerciali internazionali in
attesa che la situazione moscovita giunga a rasserenamento?
Sicuramente, ad oggi i mercati più maturi sono
anche quelli che offrono le maggiori sicurezze. Pertanto, occhi aperti nei
confronti dei consumatori dell'Europa Occidentale e degli Stati Uniti: una tendenza
peraltro ben confermata dalle trimestrali che abbiamo avuto modo di analizzare
negli ultimi mesi, e che dimostrano come i principali gruppi italiani del
settore del lusso (e qualche piccolo - medio operatore con loro) abbiano
indirizzato in misura crescente le proprie propensioni di
internazionalizzazione proprio verso Stati Uniti (+ 9,3% a/a), Germania
(+ 8% a/a) e Francia (+ 1,4% a/a).
Da non sottovalutare sarà inoltre l'apporto
garantito ancora dagli "ex" emergenti e, in particolare, dalla Cina.
La Cina ha sostenuto, nella recente storia, i conti delle società italiane che
operano nel mercato del lusso. Tuttavia è altrettanto vero che nel 2015 (così
come nel 2014) dovrebbe verificarsi una relativa attenuazione del peso
specifico della Cina nel fatturato delle società di settore, considerato che
alcuni prodotti di lusso stanno trovando sempre meno appeal.
Come se non bastasse quanto sopra, a nuocere
(potenzialmente) alle imprese del settore potrebbero essere i cambi valutari.
Già nel corso del 2014 il fatturato di settore è cresciuto del 2% a tassi
correnti e del 5% a tassi costante, con una forte penalizzazione legata al
deprezzamento di alcune delle principali valute fruite (come - appunto - il
renmimbi cinese). Nel 2015 dovrebbe verificarsi un consolidamento dell'apprezzamento
del dollaro, ma rimarrà comunque prevalente la massima aleatorietà per quanto
attiene l'evoluzione dei cross valutari.
Infine, l'incremento delle barriere non
tariffarie, definito come "esponenziale" dallo stesso vice ministro
dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. "Nei Bric in meno di dieci anni
le barriere non tariffarie sono cresciute di otto volte: non si sono aperti se
non ai beni intermedi, alle macchine — perché più produci su quei Paesi meglio
è — e questo è il motivo per cui il nostro export tiene più di quello francese
ma meno di quello tedesco. Sono preoccupato, ma nel complesso lo sono
relativamente perché dove non ci sono comportamenti protezionisti inusuali,
come negli Stati Uniti, stiamo andando molto bene e complessivamente per il 2014
ci avviamo a un record assoluto di esportazioni: nei primi nove mesi siamo già
a 28 miliardi contro i 19 dello stesso periodo 2013" -. Sottolineava
Calenda in tal proposito.
Ma quale è allora la ricetta ideale per le imprese
italiane che desiderano esportare? Sostanzialmente, la "soluzione" è
sempre la stessa: individuare più mercati di destinazione, curare la propria
offerta commerciale declinandola sulla base del target di riferimento, spendere
la giusta attenzione nei confronti delle condizioni di vendita, della
promozione e della ricerca di nuove strade, in un'ottica di differenziazione.